venerdì 21 gennaio 2011

La mia versione di Barney

Premetto: il film nel complesso mi è piaciuto. Paul Giamatti-Barney e Dustin Hoffman-Izzy sono strepitosi. E mi rendo conto che il compito di trasposizione del romanzo di culto di Mordecai Richler non è affatto semplice.
Su questo aspetto sono stati scritti fiumi di parole e due righe di più di eventuali banalità non uccideranno nessuno, quindi mi unisco al coro.

Il film che ho visto era la storia di Barney, non la versione di Barney.
Tanto che non c'è una voce narrante fuori campo, ma si segue lo svolgersi degli eventi mentre accadono.
Poteva anche intitolarsi "storia di una simpatica canaglia", tanto il giudizio finale - che nel libro è la scelta tra il bianco e il nero, unico compito cui è tenuto chi legge - qui invece è suggerito fin dall'inizio.
E la storia del canadair, che nel libro è l'unico trucchetto che l'autore usa per schierarsi a favore di Barney e sostenere che, in fondo, l'ironia e la leggerezza giustificano l'uncorrect (tanto più che sarà lo scorretto a pagarne le maggiori conseguenze), qui invece è superflua.
Al centro del film, accanto al protagonista, ci sono l'amore e le mogli: E siccome a Hollywood è tutto bianco o nero, le tre donne sono, nell'ordine, una rovinata, una stronza rompicoglioni e superficiale, e la Perfezione Incarnata.
La prima si suicida senza che Barney ne abbia colpa, la seconda è a prova di buon senso e lui la molla come chiunque avrebbe fatto, la terza lo lascia perché è troppo perfetta, è la donna che nessuno sarebbe capace di meritarsi. Morale: nessuno, al posto di Barney, avrebbe potuto fare diversamente.
Eh no, così è troppo facile, si perde tutto il senso.
Il bello di questa storia (l'originale, intendo) è che si chiede - e chiede al lettore - se la leggerezza e l'ironia, unite a un po' di buon cuore, che però non fa la differenza, valgono l'assoluzione dalle peggiori cazzate che uno può fare in vita sua...
Certo, ci sono altri mille aspetti del film che non girano, prima di tutto l'"ebraicità" di Barney, tanto stemperata da far perdere al personaggio e al film lo spirito yiddish che pervade il libro al punto da costituirne una parte fondamenale.
O la sostuzione di Parigi con Roma, che al limite era la città della dolce vita ma non certo il cuore culturale del vecchio continente e dunque un improbabile luogo d'incontro di artisti d'avangiardia e giovani bohemienne. (Ma la co-produzione italiana voleva la sua parte, ovvio!)
Tuttavia, alla fine, quello che meno mi è piaciuto è stato questo: io volevo vedere la versione di Barney, non la storia della sua rocambolesca vita.

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